Sono trascorsi 25 anni dalla nascita della “Casa-Missione” in Kosovo, avviata nel settembre 1999 dalla Caritas regionale dell’Umbria, e 20 anni dalla nascita de “Il Casolare” a Sanfatucchio di Castiglione del Lago, l’opera segno della nostra Caritas diocesana avviata nel 2004. Proprio in quest’ultima, sabato 21 settembre, alle ore 18, la grande famiglia delle Case della Carità si ritroverà a fare festa con tanti amici. Una festa che culminerà con la celebrazione eucaristica per ringraziare il Signore per il dono che ci ha fatto, scrivono nell’invito gli animatori delle due strutture: dei luoghi che ci aiutano a tenere aperte soprattutto le porte del cuore.
Nella “Casa Missione” in Kosovo, frutto della generosità e della solidarietà delle Chiese dell’Umbria e di tanti benefattori italiani, a seguito della devastante guerra nella regione balcanica del 1999, si è sperimentata un’accoglienza che va oltre le divisioni culturali, etniche e religiose contribuendo non poco a riappacificare una terra martoriata da odio e violenza. In questa struttura vengono accolti minori in gravi difficoltà, offerto un servizio diurno per bambini ed assistite mensilmente 300 famiglie povere “adottate” dai responsabili-animatori della Casa e dai volontari che periodicamente vi giungono dall’Italia per fare esperienza umana e cristiana nel servire chi soffre. Grazie anche al contributo della Caritas italiana, dopo la guerra, vennero ricostruite 400 abitazioni distrutte e aiutate centinaia di famiglie in gravi difficoltà senza badare alla nazionalità di appartenenza e alla religione praticata. Oggi la “Casa-Missione” dà opportunità occupazionale a giovani e famiglie nell’aver avviato un panificio, un caseificio e una cooperativa agricola.
“Il Casolare” a Sanfatucchio accoglie persone con vari disagi e come attività lavorativa ha avviato una azienda agricola. In questi primi 20 anni di attività quest’opera segno diocesana ha accolto diverse centinaia di giovani provenienti un po’ da tutta l’Italia e non solo. Tra le storie di vita che l’hanno contraddistinta come “scuola-testimonianza di carità”, quella del giovane Edison, arrivato dal Kosovo bambino, affetto da gravi patologie fin dalla nascita. Ha ricevuto per tredici anni, fino alla morte avvenuta lo scorso ottobre, calore umano e cure dalla giovane famiglia responsabile de “Il Casolare”, che l’ha adottato, e da quanti si sono presi cura di lui. Edison ha ‘contraccambiato’ quest’amore nel diventare un seme di speranza per coloro che hanno vissuto la sua esperienza intrecciata a quella de “Il Casolare”. È un’esperienza che porteranno sempre nel loro cuore perché esempio di vita da non sprecare, ma vissuta evangelicamente.
«Sia nella Casa del Kosovo che da noi a “Il Casolare” vivono delle famiglie che si dedicano all’accoglienza del prossimo con il vivere una vita semplice, fatta di preghiera, di condivisione e di attività lavorative». A sottolinearlo sono Chiara e Giovanni Segantin, i giovani coniugi animatori e responsabili dell’opera segno “Il Casolare”, nel precisare che «ogni persona accolta è protagonista di questa storia che continua nell’accogliersi l’uno con l’altro. Non c’è distinzione tra coloro che accolgono e quanti vengono accolti». Un aspetto non secondario della pedagogia della Carità.
DISCLAIMER: Questo articolo è stato emesso da Arcidiocesi Perugia-Città della Pieve ed è stato inizialmente pubblicato su diocesi.perugia.it. L'emittente è il solo responsabile delle informazioni in esso contenute.