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Sabato 05 Ottobre 2024

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Il Becco del Grifone – n. 14

Perugia (PG) - Dettaglio del Postergale della cappella di San Bernardino in Cattedrale.

Il 16 luglio, festa della Madonna del Carmine, in Santa Maria Nuova, il parroco del duomo benedirà gli scapolari che consegnerà ai tanti devoti che si recheranno a implorare l’intercessione di Maria. La chiesa parrocchiale del Carmine, ahimè, danneggiata dal sisma del 1997, è ancora chiusa. Tuttavia i lavori di consolidamento sono terminati e speriamo di poterla di nuovo ammirare entro la fine di quest’anno.

Era questa una delle principali ricorrenze devozionali della città di Perugia, insieme a Santa Rita, La Madonna Ausiliatrice e la Luminaria di Monteluce ove i fedeli ricevono le nobili pianticelle di basilico, ma questa è un’altra storia…

«Venne l’inclita religione dei Carmelitani in Perugia da tempo immemorabile.» Così scrive nel maggio-giugno 1922 padre Romeo Buccino, già parroco della chiesa dei Santi Simone e Giuda in Perugia (detta più semplicemente “il Carmine”), nel periodico Il Monte Carmelo. Lo riporta integralmente il 16 maggio 1945 il suo successore, il parroco p. Lorenzo Marconi, nel rispondere al questionario che precedette la visita pastorale di mons. Mario Vianello nell’immediato secondo dopoguerra.

Immagine del documento del 1945. Perugia, Archivio diocesano

 

La chiesa di San Simone del Carmine, edificata addirittura in età costantiniana secondo una tradizione ripresa da alcuni storici, certamente esistente nel 1233 e parrocchiale già nel 1285, fu concessa ai Carmelitani, secondo Serafino Siepi e le sue fonti annalistiche (Descrizione topologico-istorica della città di Perugia, Perugia, Garbinesi e Santucci, 1822) dal vescovo Bulgaro Montemelini intorno al 1296. I religiosi «colle limosine dei Magistrati e dei cittadini riedificarono la chiesa e fabbricarono il convento» (la fonte sono gli Annali Decemvirali).

In precedenza, i religiosi risiedevano nel convento di Santa Maria della Valle in Porta Eburnea. Il Repertorio di Francesco Riccardi (sec. XVII) e la Visita pastorale di Carlo Filesio Cittadini (1820 – entrambi nell’Archivio Storico Diocesano di Perugia) collegano la costruzione del nuovo convento carmelitano a una decisione di Papa Benedetto IX (XI secolo). Secondo la Serie de’ vescovi di Perugia redatta da Serafino Silvestrini a proprio uso, il vescovo Bulgaro Montemelini accordò ai Carmelitani di passare al convento dei Santi Simone e Giuda nel 1305 (stesso anno della fondazione dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia), ma il convento era stato già concesso loro molto tempo prima da Benaudito (vescovo di Perugia dal 1244 al 1250).

In ogni caso, anche se sembra (secondo Siepi) che i padri non si trasferirono prima del 1313, è certo che nel 1334 avevano ormai stabile e fissa dimora nel nuovo convento.

La chiesa, annota il Padre Buccino, godette amplissime indulgenze, concesse da vari sommi pontefici come Sisto IV, Gregorio XIII, Clemente VIII; durante l’interdetto di Urbano V contro i perugini (1369), era una delle tre chiese della città in cui si potevano celebrare i divini uffici. Fu al priore dei Carmelitani che Gregorio XI, dalla residenza di Avignone, mandò un richiamo diretto ai perugini ribelli contro la Chiesa e i suoi ministri (ovvero Gérard du Puy, abate di Monmaggiore), perché li ammonisse pubblicamente o privatamente.

Insoddisfatti dei precedenti restauri, i carmelitani fecero di nuovo ricostruire la chiesa nel 1377, ottenendo dalla città una quantità di pietre del Cassero di Sant’Antonio ossia «di quella parte di cittadella che venne demolita dopo la fuga del celebre abate di Monmaggiore». Gli Annali decemvirali, specialmente dal 1440 al 1515, attestano che i Carmelitani chiesero sussidi al pubblico erario sia per condurre a termine gli ornati della chiesa sia per la costruzione di un coro, di cui fino ad allora era priva (1496), sia per acquistare le campane e altre suppellettili: «e il generale consiglio della città di quei tempi, specialmente dedito ad opere pie, concesse sempre i necessari fiorini con generosa larghezza» (così scrive padre Buccino).

Meno di un secolo dopo, nel 1571, forse perché i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte e l’edificio minacciava rovina, o perché non erano abbastanza solidi i muri maestri, la chiesa andò incontro a un nuovo rifacimento, che la portò alla forma in cui si presentava a inizio Ottocento. Racconta Francesco Riccardi che «furono demolite le colonne, la loggia, il tetto, e fatto il muro di nuovo, et altre». Stavolta, dicono i compilatori delle memorie carmelitane, l’opera fu «fondamentale e nobilissima».

Nel 1636, per impegno di p. Giovanni Battista Cerruti, priore del convento, furono fregiati di stucco gli altari e si aprirono due grandi porte con ornati di travertino e con imposte di noce dove erano intagliate alcune figure di santi dell’Ordine carmelitano. Anche il convento fu ristrutturato e accresciuto.

Ai primi del Seicento, secondo la descrizione di Cesare Crispolti, «la Chiesa è di giusta grandezza, et è modernamente stata ristaurata; sostiene l’altare maggiore una tavola dipinta con molt’arte, la quale, come alcuni vogliano, è opera di Pietro Perugino, di cui anco si vede una bella pittura a fresco nella facciata di fuori, che risponde nella strada publica; l’altare della Madonna del Carmine è adorno di pitture, et di lavori di stucco; in esso è collocata l’imagine della gloriosa Vergine, la quale è illustre per molti miracoli, e fu dipinta l’anno 1109, con occasione di pestilenza; et tal volta anco ne’ nostri tempi è stata portata in processione per la città ne’ simili bisogni; suole mostrarsi in tempi determinati al popolo, che sempre in gran numero vi concorre; et in quella cappella è fondata la Compagnia del Carmine […] È la chiesa parrocchia da tempo immemorabile.»

Nel 1647, per dare maggiore comodità e decoro alla chiesa, i Carmelitani vi fecero aprire dinanzi un piazzale, demolendo alcune case loro appartenenti e anche un arco antico con il permesso del magistrato dell’epoca (Annali decemvirali). Con decreto della Sacra Congregazione della Disciplina dei Regolari, nel 1657 il convento venne designato come dimora dei chierici professi, che frequentavano anche gli studi all’Università di Perugia.

Nella notte del 22 ottobre 1746 un incendio distrusse il coro e danneggiò gravemente chiesa e convento. Tutto fu ricostruito l’anno seguente, a cura del padre maestro Camilli, priore del convento; in tale occasione le due porte furono ridotte a una, più maestosa, «fregiata anch’essa di cornice, cornicione e frontespizio di travertini». La chiesa, abbastanza ampia, venne rifatta con una sola navata a volta «ed avendo le pareti divise da sei arcate frapposte da pilastri dorici».

Chiesa del Carmine, scorcio della decorazione interna

 

Nella ricostruzione dopo l’incendio, forti contributi vennero dallo stesso padre Camilli e da molti benefattori, «divenendo una delle fabbriche più regolari e comode della città».

Eppure, nel 1854 i padri, «mossi innanzi tutto da un pio desiderio di decorare la casa di Dio ed ancora indotti da un certo amore per le belle arti che è stato sempre tradizionale negli ordini monastici e religiosi, vennero nella risoluzione di restaurare nuovamente la chiesa per renderla ancora più splendida e sontuosa, sobbarcandosi perciò ad una fortissima spesa». Erano anni di fermento architettonico per tutta la diocesi; si affermava il fenomeno delle cosiddette chiese leonine, quelle che (specialmente nel contado ma anche in città) venivano restaurate in tutto o in parte per impulso e non di rado con il contributo di Gioacchino Pecci, vescovo di Perugia dal 1846 e papa Leone XIII dal 1878. Si trattava (specialmente in contado) di edifici di cui il predecessore di Pecci, Carlo Filesio Cittadini, aveva constatato il cattivo stato, dopo il travagliato periodo francese.

I carmelitani invitarono (continua p. Buccino) «il sig. Vincenzo Baldini perugino, pittore e professore nell’Accademia delle belle arti di Perugia, per la pronta esecuzione dei lavori architettonici e degli ornamenti in pittura.»

Coadiuvato da tre «scelti artefici», l’artista volle dapprima allargare l’arco dell’abside di m 2.40, poi pensò a togliere «molte e gravissime irregolarità che deformavano le tre campate in cui è divisa la volta, essendo i muri di fianco fuori di linea, i piloni posati fuori di squadra e gli archi assai deformati».

Vengono disfatti i vecchi altari in tutte e tre le campate «perché costruiti ed ornati senza unità, senza ordine e senza stile», fabbricandone di nuovi: «i due altari della crociera di mezzo sorgono su colonne di ordine ionico; di altro bello stile sono pure i quattro delle altre crociere, le cui mense posano sopra a delle urne rassomiglianti a quelle delle catacombe cristiane».

Quanto alla decorazione pittorica, Baldini chiama come collaboratori due giovani pittori di sua fiducia: Mariano Piervittori da Foligno e Giovanni Panti da Perugia, allievo dell’Accademia. Piervittori esegue tutta la parte figurativa e, negli ornati della campata di mezzo, riceve l’aiuto del Panti, che collabora anche con Baldini per l’esecuzione degli altri ornati (come la pittura dell’abside, eseguita con effetti ottici per farla sembrare più grande). In mezzo all’abside viene realizzata una edicola dipinta in modo da sembrare in rilievo, entro la quale viene ricollocata l’antica tela raffigurante la Vergine in trono con il Bambino, il dipinto che la tradizione attribuiva al 1109 in occasione di una pestilenza, rimasto intatto nell’incendio del 1746.

I fratelli Ribecchini di Perugia lucidano in marmo gli stucchi.

L’impresa fu condotta a termine nel giro di due anni. Il 20 luglio 1856, la chiesa venne solennemente riaperta.

Nel 1945 (quando il parroco p. Lorenzo Marconi fa rapporto al vescovo Vianello) la chiesa è ancora in buono stato; il tetto è stato riparato nel 1944. Ha tre crociere e sette altari. Esternamente è posta sopra l’ex convento dei Carmelitani. A destra e a sinistra sono costruiti dei locali per l’abitazione del parroco, a sinistra c’è il campanile. La nave è lunga m 22, larga m 12,50. Il presbiterio è lungo m 10 e largo 4. Il coro è lungo m 10 e largo 5.

Quando la Chiesa del Carmine verrà riaperta al culto, non la ammireremo, purtroppo, nel suo massimo splendore. Infatti, il terremoto, che ne minò la struttura nel 1997, arrivò dopo lo spopolamento del quartiere e il conseguente abbandono della chiesa sia dai religiosi carmelitani (partiti nel 1986) che dai numerosi fedeli che l’affollavano, con conseguente degrado della stessa. In più, un grossolano adeguamento liturgico del presbiterio, ne ha compromesso l’eleganza estetica.

Nutriamo la speranza che la prossima riapertura serva da incentivo ad aggiungere ai poderosi lavori di consolidamento strutturale, anche il ripristino e il restauro delle decorazioni e degli arredi.

 

(Si ringrazia Isabella Farinelli, archivista diocesana, per la concessione della scheda storica sulla Chiesa del Carmine e per il reperimento delle immagini della trascrizione del documento del Padre Buccino)

DISCLAIMER: Questo articolo è stato emesso da Arcidiocesi Perugia-Città della Pieve ed è stato inizialmente pubblicato su diocesi.perugia.it. L'emittente è il solo responsabile delle informazioni in esso contenute.

[Fonte: Umbria OnLine]

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