Il prossimo 19 giugno, Città della Pieve onorerà i suoi patroni, i santi martiri Gervasio e Protasio. Proprio lo stesso giorno ma di 80 anni fa, la cittadina festeggiava la liberazione e la cessazione del flagello della guerra che tanta sofferenza aveva portato tra i suoi abitanti. Ci soffermiamo brevemente su una vicenda abbastanza nota ai pievesi ma pressoché sconosciuta al resto della diocesi: l’uccisione del parroco dei santi Pietro e Paolo Don Pompeo Perai. Lo storico Pievese mons. Fiorenzo Canuti scriveva nel suo diario di guerra: “1944, venerdì 16 giugno: alle ore 21:00 è ucciso il parroco don Pompeo Perai che andava a soccorrere i feriti”. Don Oscar Carbonari, immediato successore di Don Pompeo, in una relazione al vescovo, nel 1946 confermava: “…il sacerdote don Pompeo Perai, parroco della stessa parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo veniva tragicamente ucciso con una raffica di mitraglia da parte dei tedeschi in ritirata. Lo stesso cadavere rimaneva esposto per tutto il periodo dell’assedio della città senza possibilità di rimozione dal luogo dell’accaduto. Ulteriori particolari sull’incidente sono da me ignorate”.
Don Pompeo nacque a Badia San Cristoforo – Castiglione del Lago (PG)- il 6 febbraio 1884 e portato in chiesa il giorno seguente in quanto, come annotato nel libro dei battesimi, fu battezzato dall’ostetrica “…ob difficultatem nascendi, in utero matris baptizatus fuit”. Fu ordinato prete il 21 settembre 1907 e nominato parroco dei Santi Pietro e Paolo in Città, con bolla vescovile del 31 marzo 1933.
Nell’anno 2000 don Remo Serafini nel redigere la storia dei sacerdoti pievesi del XX secolo, ebbe la possibilità di interrogare la signora Battaglini Consilia, classe 1920, che ricordava bene la vicenda della morte del parroco di San Pietro: “…da qualche giorno cadevano le bombe in città e ci ritirammo nel rifugio sotto l’orfanotrofio Baglioni, con l’ingresso proprio sulla strada provinciale. C’ero io, mio marito Mario, Don Pompeo, sua sorella ed altri. Mio marito era vestito di bianco con la Croce Rossa per soccorrere i feriti, i malati, e raccoglie eventuali morti. Don Pompeo disse a Mario, mio marito, che bisognava andare a prendere in chiesa il Santissimo Sacramento e tenerlo al sicuro. E don Pompeo e mio marito andarono e tornarono poco dopo. Don Pompeo ci comunicò tutti. Alcuni dicevano: “ma ci si deve confessare!“. “Su, su! Vi confesserete poi. Ora fate la comunione”. E ci comunicò tutti. Venne la mattina del 16 giugno 1944 e delle bombe ne cadevano parecchie. Ci furono molti morti e feriti. Stemmo nel rifugio tutto il giorno. Alla sera disse Don Pompeo :“io devo andare a fare il mio dovere!“. E non dette ascolto a noi, perché era pericoloso uscire. E uscì. Sentimmo una raffica di mitragliatrice e fu ucciso dai tedeschi. Si vedono ancora i buchi delle pallottole sul muro. Aspettammo diverse ore prima di andare a vedere che cosa era successo, pensando al peggio. Mario, mio marito lo portò vicino alla cappellina della Madonna della neve. E restò lì per due o tre giorni, finché la città non fu liberata. Mario lo avvolse in una coperta con altre persone lo mise in una cassa e lo portarono al cimitero nella cappella dei preti”. “Ma si dice che Don Pompeo fu ucciso dai tedeschi perché difendeva una ragazza?”. La signora consiglia rispose decisa: “non è vero, perché la Velia Tassini, che era con noi, era uscita prima dal rifugio e don Pompeo uscì molto dopo”. “Era un bravo prete Don Pompeo“. “O sì! Mi sembra ancora di vederlo; quasi tutti i pomeriggi qui sotto per questa strada che ora da San Pietro viene verso l’ospedale, con il breviario in mano e pregava! Allora abitavamo proprio uno di fronte all’alto: don Pompeo nella casa parrocchiale ed io di fronte, a meno di 50 metri. Si chiacchierava con lui e con la sorella dalla finestra! Don Pompeo era tanto bravo e buono stava sempre tra la gente”. “Ma Don Pompeo fu ammazzato il 16 o il 17 giugno?“ La signora Consilia conferma, e insiste: “era il 16 giugno 1944”.
Tra le schede dell’archivio di monsignor Fiorenzo Canuti vi sono anche due relazioni, una delle quali risulta più ampia e completa ed è stata trascritta da don Remo Serafini nella sopracitata pubblicazione. Ne riportiamo una parte molto toccante: “…la mattina del 16 giugno, venerdì, festa del Sacro Cuore di Gesù, i tedeschi, non stimando sostenibile una difesa a Monteleone d’Orvieto, alle ore 12:00 si ritirarono di là, col proposito di fare un’energica resistenza sulle colline che contornano Città della Pieve e sulla città stessa. Il parroco urbano dei santi Pietro e Paolo, don Pompeo Perai, all’ora consueta, si era recato all’ospedale civile per celebrarvi la Santa Messa, ma, mentre indossava gli abiti sacri, vennero ad avvertirlo che i tedeschi, forzata la porta della chiesa vi erano entrati stabilendo un posto di osservazione sul campanile. Deposti i paramenti, venne in fretta in chiesa e trovò che i soldati stavano in quel momento abbattendo il parapetto di un muro che recinge la piazzetta dinanzi la chiesa al cui centro c’è innalzata una gran croce di ferro. Fu ivi piantato un cannone in direzione della strada che dal villaggio delle piazze conduce alla nostra città. Riuscita vana ogni preghiera perché alla croce non fosse fatto oltraggio, presa con sé la pisside contenente il Santissimo Sacramento per custodirla in luogo più sicuro, se ne tornò all’ospedale per celebrarvi la Santa Messa in onore del Sacro Cuore di Gesù, nella quale distribuì alle suore e ai presenti la Santa Comunione in forma di Viatico. Aveva allora terminata la Messa, quando venne in gran fretta con animo agitato la sorella, ad avvertirlo che i tedeschi, penetrati a forza nella casa parrocchiale, stavano rovistando per tutto, minacciando e facendo da padroni. La casa parrocchiale ha un piccolo orto al di sopra della strada nazionale in continuazione dell’orto dell’orfanotrofio Baglioni. Qui i tedeschi stabilirono un forte di difesa, perché quel luogo si prestava per lanciare bombe incendiarie sui carri armati, che quella strada dovevano senza dubbio passare. Il buon parroco, tornato alla sua casa trasformata in un fortilizio, dovette per tutta la giornata assistere con pena e con animo preoccupato ai preparativi che si facevano in attesa dell’arrivo imminente degli anglo-americani; ma, calando la sera, e poiché le granate inglesi aumentavano di ora in ora in direzione di quella parte, stimò prudente allontanarsene, cercando ospitalità in un prossimo rifugio di casa Macchioni, dove fu accolto dai cento e più ricoverati che già vi si trovavano, con segni di allegrezza per il conforto che portava a tutti la sua presenza. E’ d’uopo avvertire che in questo rifugio avevano stabilito un luogo di medicazione i tedeschi, muniti di telefono. Sette soldati comandati da un tenente, erano lì fin dalla mattina con tutto il materiale occorrente. Verso le 19 cominciò l’arrivo dei feriti, uno dei quali era in gravissime condizioni e che poi morì. Gli altri, dopo la prima medicazione, caricati sulle autoambulanze venivano trasportati immediatamente altrove. Erano circa le 20 o giù di lì, quando don Perai si presentò al rifugio, ed erano passati appena dieco minuti, quando l’unico soldato rimasto in quel momento nel rifugio, un giovane diciannovenne armato di tutto punto, mise in trepidazione tutti i presenti. Gridava come un forsennato parole incomprese. Pareva che chiedesse aiuto ed uomini per trasportare dei feriti. Si fecero allora avanti quattro giovani e una signorina; ma arrivati alla porta non video alcuno, né poterono capire alcunché di quello che quel soldato, sempre più infuriato, voleva da loro. Per la qualcosa si diedero a gambe, fuggendo dal rifugio. Anche il parroco don Perai, seguendo l’impulso della sua coscienza, volle eseguirli, nonostante le ripetute raccomandazioni della sorella, che non voleva che si esponesse al pericolo. Ma egli le rispondeva: “vi sono dei feriti! Debbo andare, qualcuno potrebbe reclamare il mio ministero!” E andò. Giunto alla porta, intuì il pericolo d’innalzi al soldato così inferocito e col fucile spianato verso di lui; e senza far tempo in mezzo si diede anche gli alla fuga. Ma, fatti pochi passi fu fermato da un colpo di mitraglia che lo rese cadavere all’istante, schizzando un fiotto di sangue sul muro vicino di cui ancora rimane l’impronta. Qui la salma rimase due giorni in sepolta. Poi da persona amica fu presa e allontanata un poco, finché, cessati i combattimenti, fu trasportata al camposanto. Fu grande l’impressione per questa tragica fine e universale rimpianto. Era un sacerdote stimato ed amato per le sue doti di mitezza e di bontà, per il suo zelo e l’amore per la sua parrocchia. I superiori lo stimarono gli affidarono uffici di responsabilità.… Sia pace all’anima sua e il signore abbia accetto il sacrificio del suo sangue e della sua vita per la santificazione del nostro clero e per una copiosa fioritura di vocazioni religiose”.
Il sacrificio di Don Pompeo fu soltanto uno dei tanti. Al suo sangue si aggiunse quello di tanti altri la cui memoria è ancora viva nel cuore dei pievesi più anziani. Pochi giorni dopo in coincidenza con la festa dei santi patroni, il 19 giugno, la città fu finalmente liberata, ma di questo, avremo modo di trattare, più diffusamente, nel prossimo articolo.
(Testi tratti da: Fondo Canuti, Archivio diocesano di Città della Pieve e R. Serafini, Seminaristi, Preti e Vescovi della diocesi di Città della Pieve nel sec. XX, 2003)
Nelle foto:
- Le Scalette di San Pietro in Città della Pieve, luogo dell’uccisione di don Pompeo Perai
- L’ex chiesa parrocchiale dei santi Pietro e Paolo in Città della Pieve
DISCLAIMER: Questo articolo è stato emesso da Arcidiocesi Perugia-Città della Pieve ed è stato inizialmente pubblicato su diocesi.perugia.it. L'emittente è il solo responsabile delle informazioni in esso contenute.